Chrysalis
Temi e tracce per l'allestimento di un laboratorio d’esperienza creativa
di Erminio Biandolino
(® testi protetti da copyright*)
Temi e tracce per l'allestimento di un laboratorio d’esperienza creativa
di Erminio Biandolino
(® testi protetti da copyright*)
appunti per una comunicazione al convegno "Metamorfosi Sociale"
Accademia di belle Arti KANDINSKIJ
in Trapani
Arte e teatro sono da sempre stati strumento di azione profonda sulla realtà effettuale così come sulla percezione e comprensione del multiforme mondo della rappresentazione.
La dedizione allo sviluppo della altrui creatività è la più alta forma di generosità: la creatività è strumento e condizione fondamentale per lo sviluppo del sentimento di sé, della propria unicità ed irripetibilità, della speciale dignità che risiede nel considerarsi in crescita permanente, a sé centrali nel rispetto e nella promozione della altrui maturazione umana e spirituale.
Si tratta di un atto d’amore la cui ricompensa è di certo una condizione di sicura e pervasiva felicità.
Non sposo alcun modello conoscitivo, non abbraccio scuole di pensiero, non difendo questo o quell’orientamento di ricerca.
Semplicemente osservo che le persone, opportunamente aiutate a rilassarsi, incoraggiate ad essere sé stesse e ad entrare senza timori nelle stanze dell’immaginazione creatrice, crescono in gioia, libertà e bellezza.
Credo che una sana sospensione del giudizio, un’apertura pragmatica al di fuori delle chiuse mura delle gabbie metodologiche definitamente strutturate, una petizione di principio intesa all’accoglimento non pregiudiziale di stili e strumenti di lavoro multiformi possa dare inizio ad un eclettismo pieno di promesse, a una prassi di lavoro viva e vitale, a un processo di maturazione delle potenzialità dell' Umano d'energia inesauribile, denso di prospettive più feconde di quanto non possa la più precisa e rigorosa delle prassi epistemiche.
da "Work in progress, laboratori d'esperienza creativa" di Erminio Biandolino
http://erminiobiandolino.weebly.com
"Non credete una sola parola di quello che dico; né ad una sola di quello che sto per dirvi. Sperimentatelo".
E' una bellissima massima di Satprem Yogi.
Quel che sto per dirvi, e che insieme proveremo a fare a partire da questo momento, si ispira in modo conseguente allo spirito di questa affermazione: se qualcosa può essere per davvero trasmesso nei processi formativi, quel qualcosa è il sentimento irripetibile e dal sapore unico dell'esperienza diretta.
Chiamiamo questa attitudine e questo stile d’apprendimento “politica dell’esperienza”.
Badate che dico “stile d’apprendimento”, non di insegnamento.
Questo, per ragioni che comprenderete nel corso dei nostri incontri.
Val forse la pena di sapere che i nomi con i quali i Maestri di pensiero sono conosciuti in Oriente sono solitamente nomi astratti e che Satprem, il nome dell'autore di questa massima, è composto da Sat, verità, conoscenza, e da Prem, che significa amore.
E che la parola Yogi indica, è vero, il praticante delle discipline meditative che portano il nome di Yoga, ma che Yoga è radice sanscrita della parola latina Jungo, che significa unire, congiungere.
Dunque, Yoga è unione di maestro ed allievo.
I processi della conoscenza veramente fecondi maturano nello scontornarsi delle identità di maestro ed allievo, nel loro con-fondersi; e a nulla valgono se non sono sostanziati d'amore profondo e sincero per il loro oggetto.
Lungi dall'essere o dal voler esser considerato un maestro di pensiero, mi trovo ora del tutto occasionalmente nel ruolo della persona che trasmette un'esperienza probabilmente a molti di voi ignota.
Ma che da voi ha probabilmente molte più cose da imparare di quanto non abbia da insegnare.
Sarà mia cura cercare di evitare, in questo nostro primo incontro, ogni riferimento verbale al linguaggio che è proprio delle teorie e delle pratiche che sono alla base delle relazioni d'aiuto istituzionali.
Questo per una triplice ragione.
La prima consiste nella necessità di rendere il più possibile agevole la comprensione di quanto vengo dicendo; parto, infatti, dall'assunto che voi che mi ascoltate non dobbiate avere necessariamente ricevuto un training formativo a contatto con le letterature scientifiche in ambito psicologico o psico-somatico: se vero è che certi tecnicismi linguistici sono straordinariamente potenti quanto ad efficacia di sintesi e puntualità descrittiva, altrettanto vero è che questi, nel servire le necessità di comprensione degli addetti ai lavori, possono sortire l'effetto perverso di escludere dalla comprensione l’ascoltatore non adeguatamente iniziato come una sorta di diaframma ermetico.
La seconda consiste nella necessità di fare il punto della mia personalissima esperienza, di offrirvene una sia pur parziale visione e di esplorare il campo degli effetti pragmatici dell'esperienza creativa, effetti terapeutici compresi, così come si sono offerti nel tempo alla mia osservazione di animatore, regista, insegnante e pittore, con strumenti scevri dalle concrezioni accademiche che a volte, proprio in forza delle cristallizzazioni dei linguaggi tecnici, rischiano di travisarne e di traviarne il senso e il valore.
La terza, ultima, ma non tale nell'ordine di importanza che desidero conferire a questa mia scelta, consiste in una necessaria forma di pudore e di rispetto nei confronti di quanti, psicologi, psico-terapeuti e psichiatri, tali linguaggi e letterature hanno frequentato e frequentano per deliberata scelta professionale; e che meglio di me sanno come trattarne l’intrinseca potenza.
Del resto, pur avendo l'opportunità di mutuare autorevoli fonti di legittimazione dall' azione di alcuni tra i migliori maestri, uno per tutti il buon Giuliano Scabia, drammaturgo, principale animatore insieme con Franco Basaglia di quella straordinaria esperienza che, partendo da Trieste, diede avvio al processo di liberazione socio-culturale che portò alla chiusura delle istituzioni manicomiali nel nostro Paese, non ho mai osato dichiarare pubblicamente la valenza terapeutica del lavoro d'arte; né lo farei oggi se non mi soccorresse il solido sostegno di quanti sono venuti negli anni proponendomi interventi ispirati dallo scopo di creare e consolidare leve di prevenzione e cura del disagio.
A loro devo gratitudine per aver reso possibile l'incontrarsi ed integrarsi di pratiche il cui valore umano ha oggi modo di dispiegarsi e diffondersi in potenza d' azione fino a ieri impensabile.
Tra questi devo comprendere e rendere un particolare grazie alla vostra direttrice, la professoressa Silvia Guaiana, che ha manifestato verso il mio lavoro una fiducia che spero di non disattendere.
Mi pare utile sottolineare che i laboratori d’esperienza creativa che conduco nascono come ipotesi di lavoro intesa a costruire alcune utili connessioni pragmatiche tra le prassi psico-pedagogiche e l’esigenza sempre più avvertita sul piano accademico e in contesti variamente impegnati sul piano della ricerca antropologica e artistica , di dare avvio ad una sistematica azione di sostegno allo sviluppo della creatività.
A partire dalle interessanti definizioni date della creatività sul finire degli anni ‘50 e nei primi anni ’60, J.P. Guilford, Margaret Mead, Abraham Maslow ed Harold Anderson, Erich Fromm, Carl Rogers, Ernest Hilgard primi fra tutti e fra i più autorevoli, si è sviluppata ed attestata tutta una serie di pratiche che hanno dato origine ad una significativa quanto disorganica massa d’esperienze che attingeva, socializzandone metodi e stili di lavoro, a diversi campi del sapere.
I saperi artistici ed le prassi di ricerca teatrali, fino a qualche tempo prima considerati appannaggio esclusivo di pochi fortunati quanto originali individui d’eccezione eletti ad una condizione di privilegio spirituale, furono tra gli altri investiti del ruolo privilegiato di esplorare le nuove frontiere della creatività in prospettive del tutto originali.
Il programma cui daremo inizio oggi con un piccolo saggio d’approccio iniziale si propone di attivare una serie di esperienze e ricerche allo scopo di formulare e porre in atto su quelle tracce un’organica azione di formazione a sostegno dello sviluppo dell’intelligenza creativa.
E’ interessante dare uno sguardo ad una delle pagine di Henry Murray, in quegli anni attivo presso l’Università di New York:
“…Fino a pochi anni addietro la creatività veniva considerata abitualmente come un quid completamente misterioso e miracoloso, come una sorta di potere epifenomenico che si trova “aggiunto” al complesso normale delle potenzialità umane unicamente in pochi, rari uomini di genio. Infatti la parola creazione incominciò ad essere applicata senza significati irriverenti anche a quello che non era opera di Dio soltanto verso il finire del secolo XVIII. I drammaturghi e i poeti erano stati considerati, sulla scorta della filosofia platonica e aristotelica, imitatori o specchi, la cui funzione era quella di riflettere la natura, oppure, per chi non seguiva questi concetti, essi dovevano servire da portavoce degli dei, dell’ordine morale, oppure dell’unico Dio della cristianità. E perfino dopo che fu permesso parlare delle “creazioni” dei poeti romantici, raramente la parola fu immune da ipertoni che sottintendevano un dono o un potere divini. Un esempio particolarmente illuminante di questa concezione è l’autoritratto che Coleridge ci dà in Xanadu: “E tutto dovrebbe gridare: bada a te, attento / al lampo degli occhi ed alla chioma ondeggiante! / Tracciagli intorno il triplice cerchio / Chiudi gli occhi in sacro terrore / perché si è nutrito della rugiada / perchè ha bevuto il latte del giardino dell’Eden!”.
Oggi, tuttavia, i significati di questo linguaggio figurato hanno assunto un orientamento interiore: le doti e i poteri creativi che in passato venivano attribuiti agli individui trascendentali di natura celestiale sono considerati immanenti in natura, specie in quella umana, e per noi costituiscono uno dei dati della sua essenza celata, inconscia. E molti di noi, anziché ritenere che la creatività sia una capacità rarissima nell’uomo, riconoscono che si manifesta, in determinate maniere e fino a un certo punto, in quasi tutti gli esseri umani….”
Quel che in quegli anni emergeva con particolare interesse era, dunque, un’idea di creatività intesa come intelligenza progettante, come un insieme di abilità, valori, stili di vita e di pensiero di cui tutti gli esseri umani sono potenzialmente dotati.
Questa concezione si affermava in aperta contraddizione con un’idea dell’intelligenza intesa come capacità di risolvere i problemi posti all’uomo dalle necessità dell’adattamento alle sfide della natura e di quella seconda natura, che è specifica solo dell’umano, che è la civiltà; e si attestava con franca sollecitudine contro due fondamentali forme di pregiudizio; il primo, ancora radicato in alcune forme della mentalità corrente, è quello della creatività come luogo e strumento di discarica di tensioni neurotiche; il secondo, correlato con l’idea che creatività fosse una qualità specialissima infusa in pochi individui felicemente ed eccezionalmente dotati del dono di osservare il mondo e di intervenirvi con occhi e strumenti diversi da quelli dell’uomo della strada.
Ad Abraham Maslow dobbiamo una formulazione veramente feconda dell’idea di creatività come creatività comportamentale nella identificazione del tipo dell’uomo che realizza sé stesso. Sentiamo alcuni dei suoi più interessanti assunti:
“… mi trovai nella necessità di fare una distinzione fra la creatività del talento al di fuori del comune e la creatività dell’autorealizzazione, quella più immediatamente espressa nelle attività quotidiane e che dà la sua impronta non tanto e non solo alle opere di genio, ma risulta evidente anche in altre maniere, in un certo tipo di umorismo, in una tendenza a fare tutto in modo creativo. Non di rado risultava che uno degli aspetti essenziali della creatività che si auto realizza era un genere particolare di percettività, quel genere che trova la sua più chiara esemplificazione nel bambino della favola che vede il re nudo mentre tutti lo percepiscono, ingannati dal senso comune, abbigliato splendidamente. Chi è creativo nel realizzare sé stesso è capace di “vedere” con occhi più limpidi, di distinguere il nuovo e il grezzo, il concreto e l’ideografico, così come è capace di vedere il generico e l’astratto, ciò che è rubricato, sistematizzato e classificato. Di conseguenza, persone come lui vivono nel mondo reale della natura assai più di quanto non vivano nel mondo verbalizzato dei concetti, delle astrazioni, delle aspettazioni aprioristiche, delle credenze e degli stereotipi che la maggior parte degli uomini scambia per il mondo reale. Una concezione che un altro grande psicologo, Carl Rogers, esprime con la sua frase: “apertura all’esperienza”.
Potei inoltre osservare che questa forma di creatività era simile in molti aspetti alla creatività tipica di tutti i bambini felici e sicuri; era spontanea, priva di sforzo, innocente, facile, una sorta di libertà dagli stereotipi e dai cliché. E sembrava composta soprattutto da una ”innocente” libertà di percezione e da una spontaneità e da una espressività egualmente “innocenti” e ignare di inibizioni.
Quasi tutti i bambini sono in grado di percepire più liberamente, senza aspettative aprioristiche di quel che dovrebbe essere. E quasi tutti i bambini sono capaci di comporre una canzone o una poesia o una danza o una pittura o una commediola o un gioco estemporaneamente, senza un intento o un programma prestabilito.
Si può dimostrare che la creatività di cui stiamo parlando è una caratteristica insita nella natura umana, una potenzialità che tutti, o quasi, gli esseri umani possiedono alla nascita e che nella maggior parte dei casi si smarrisce o viene a mano a mano inibita nel percorso di assimilazione nella civiltà.”.
E’ soprattutto all’accensione di questo genere di creatività che ci interessa mirare.
Continua il Maslow:
“…l’uomo che realizza sé stesso è relativamente impavido di fronte all’ignoto, al misterioso, allo sconcertante e spesso vi si sente veramente attirato…non trascura l’ignoto, non lo nega, non tenta di convincersi o di far credere che si tratti di cosa conosciuta e neppure lo organizzano o lo dividono per ricavarne una dicotomia; non si attacca disperatamente a quanto è familiare, la sua ricerca della verità non è un catastrofico bisogno di certezza, sicurezza, di precisione e di ordine come quello che possiamo osservare in forma esasperata degli individui affetti da neurosi coercitivo-ossessiva. Può, ancora, se la situazione oggettiva lo richiede, essere tranquillamente disordinato, sciatti, anarchici, caotici, imprecisi, dubbiosi, incerti, indefiniti, approssimativi, inesatti o in errore, tutte condizioni auspicabili in determinati momenti nella scienza, nell’arte e nella vita in generale….”
La creatività veniva qui vista, in prospettiva anti-metafisica, come un insieme di attitudini suscettibili di sviluppi e, dunque, soggetta ad educabilità.
Tali attitudini venivano e vengono investigate nella loro peculiare spinta ad armonizzarsi, ed è qui che si innesta in modo appropriato tutto il discorso della funzione terapeutica dell’arte, a fare tutt’uno con le potenzialità dell’intera persona per spostarne gli equilibri sul piano di una più matura ed elevata integrazione dei modi di percezione, del mondo emozionale, della volontà, della capacità ideativa e concettuale.
La creatività, insomma, veniva vista come strumento d’accesso ad un campo d’esperienze in grado di polarizzare tutte le forze che il potenziale conoscitivo può esprimere.
Nella prospettiva personalista la creatività costituisce un modo d’essere globale, che richiama ad una più sicura disponibilità verso gli eventi della vita, ad una chiara assunzione del valore di sé come autentico centro generatore dei propri atti e del proprio mondo, come sorgente normativa del nostro proprio pensiero come forza produttiva di umanità, della libera espressione di sé come strumento di crescita delle potenzialità linguistiche, degli affetti, della socialità, della memoria personale come di quella storica e di specie.
La portata civile, oltre che pedagogica intesa in senso strettamente tecnico di questi assunti appena sinteticamente abbozzati è di straordinario interesse.
Tutte le società umane, anche quelle più statiche e primitive, affidano al pensiero creativo la soluzione dei loro problemi centrali più complessi.
E quello della felicità personale è il problema dei problemi, anche se la nostra società tende a relegarlo negli ambiti del puro soddisfacimento di superficie della proiezione narcisistica.
Si può sostenere che il processo generale di avanzata delle civiltà e di sviluppo dell’umanità sia sostanziato sin nelle profondità delle sue radici dall’integrarsi dialettico dell’apertura al nuovo e della spinta alla integrazione di modelli e strategie di pensiero e d’azione inusitati con le ragioni che inducono a difendere stabilità e certezza di riferimenti negli ordinamenti giuridici come in quelli del sapere, così come nei modelli d’organizzazione della vita economica e civile.
Integrazione non sempre facile, come si può facilmente immaginare e, per lo più, apertamente conflittuale, ai cui estremi configgono gli interessi che si polarizzano intorno a stili di pensiero e prassi politiche conservatrici ed autoritarie da un lato e la spinta all’innovazione rivoluzionaria dall’altro.
Le società complesse come quella in cui viviamo consentono un’estesa sperimentazione dei campi della creatività.
E le Accademie, svincolate come sono dalle immediatezze della necessità produttiva, possono essere uno dei luoghi di sperimentazione più efficaci e stimolanti nel senso che a noi interessa.
In esse vogliamo riporre le speranze di una formazione che affini le sensibilità e l’intelligenza del cuore, oltre che della ragione, che ponga al centro dei propri valori un’estesa, concreta pratica di tolleranza, di solidarietà e cooperazione, che miri allo sviluppo dei potenziali dell’Uomo in quanto fine, in quanto uomo, soggetto morale. Soggetto di un diritto certo, libero, se adeguatamente orientato, di rivolgersi all’esperienza con sicurezza, con cura di sé e del bene comune, con spirito di appartenenza fraterna e con orientamento universalistico.
Come si identifica il comportamento creativo? Quali sono le sue principali caratteristiche? Come e su cosa lavorare per contribuire a svilupparne le potenzialità?
Il pensiero creativo si caratterizza per uno straordinario grado di apertura della sensibilità intesa come sensibilità problemica; una sensibiltà, cioè, rivolta alla individuazione, per procedimenti che impegnano le abilità analitiche come quelle intuitive, delle strutture e delle ragioni che sottostanno al manifestarsi degli eventi.
Ancora, il pensiero creativo si manifesta con un alto grado di scorrevolezza associativa e fluidità e flessibilità semantica, con la capacità, cioè, di muoversi in libertà, utilizzando in modo singolare gli strumenti del pensiero logico-razionale come quelli del pensiero analogico, tra le categorie concettuali e le strutture del linguaggio più disparate e pur appartenenti a costellazioni di senso remote e differenti.
Tra le caratteristiche del pensiero creativo un ruolo fondamentale è da attribuire all’ironia, al gioco, all’umorismo, alla capacità di trastullarsi con gli oggetti che costituiscono tanto gli strumenti materiali del proprio lavoro quanto quelli che costituiscono il mutevole paesaggio del proprio mondo interiore, alla capacità di riorganizzare i dati della percezione, i prodotti della manipolazione, i dati dell’osservazione e dell’interpretazione con attitudine esplorativa, indipendenza di giudizio, originalità, apertura all’esperienza.
“Nascere tutti i giorni” aggiungeva Harold Anderson, desiderio di crescere, capacità di stupirsi e stupire, consapevolezza, spontaneità, umiltà, desiderio di apprendimento, volontà di rischio, l’essere in pace con il mondo, l’armonia; e, ancora: l’audacia, l’integrità, la fede nella vita, il coraggio, l’assiduità onnipervasiva dei centri d’interesse, la capacità di concentrarsi e di sopportare l’isolamento, l’anticonformismo.
Caratteristiche, queste, in grado di offrire una armonizzazione della personalità ed un intenso e moltiplicato senso di benessere, di gioia e di energia, la percezione di sé come ente unico, irripetibile, prezioso a sé e agli altri, in grado di realizzare sempre più intensamente la propria originalità esistenziale.
Esperienze che, nelle punte di più elevata realizzazione, possono spingersi sino alla vetta di un cambiamento felice e radicale dell’intera persona.
Sentiamo, in proposito, le parole di Maslow:
“Svolsi una ricerca interrogando molte persone sulle esperienze più belle, più estatiche della loro vita, mosso inizialmente dal desiderio di enunciare, se possibile, una teoria generalizzata e globale dei mutamenti di cognizione che sono stati descritti dalle varie letterature specifiche sull’esperienza creativa, sull’esperienza amorosa, sull’esperienza interiore, sull’esperienza orgasmica, sull’esperienza mistica. Il termine generico che impiegai per tutte fu “esperienze di vertice”. Avevo l’impressione che ciascuna di queste esperienze avesse il potere di cambiare le persone e la loro percezione del mondo in modo analogo e parallelo e rimasi colpito dal fatto che i cambiamenti riportati paressero corrispondere alla mia precedente descrizione dell’autorealizzazione, o, almeno, ad una unificazione sia pur transitoria delle discontinuità interiori dell’individuo.
Individui di tipo diverso arrivano alle loro esperienze di vertice partendo da avvenimenti di tipo diverso. Però l’esperienza soggettiva, da qualunque fonte derivi, è descritta all’incirca nello stesso modo. Fu per me sbalorditivo sentire una donna che mi descriveva i sentimenti provati nel momento in cui metteva al mondo un figlio con le stesse parole impiegate da Bucke (1923) per descrivere la “coscienza cosmica”, o da Huxley per descrivere l’esperienza mistica di tutte le civiltà di tutti i tempi, o da Ghiselin per descrivere il processi creativi o da Suzuki per descrivere l’esperienza dello “Zen Satori”. E mi rivelò anche la possibilità di tipi diversi di creatività. Così come esistono forme diverse di salute.
La scoperta principale fu che uno degli aspetti essenziali dell’esperienza al vertice è l’integrazione interiore dell’individuo e quindi l’integrazione dell’individuo nel mondo.
In questi stati esistenziali l’individuo diventa unificato; le fratture, le polarità, le discontinuità presenti nel suo intimo tendono temporaneamente a dissolversi. In una condizione così, diventa assai più aperto all’esperienza e assai più spontaneo e pienamente funzionante; acquisisce, cioè, le caratteristiche essenziali della creatività auto-realizzatrice.
Uno degli aspetti dell’esperienza di vertice è la perdita completa, benché transitoria, dell’angoscia, dell’inibizione, della difesa e del controllo, l’abbandono del rinnegamento, dell’indugio, della costrizione. Tutto, per il momento, tende a scomparire o a rimanere sospeso: il timore della disintegrazione e della dissoluzione, il timore di lasciarsi sopraffare dagli istinti, la paura della morte e della pazzia, la paura di lasciarsi andare al piacere e all’emozione sfrenata. E tutto ciò comporta una maggiore apertura percettiva, dacché il timore ha un effetto deformante della percezione di realtà. Si tratta, insomma, di stati di fusione del principio del piacere freudiano e del principio di realtà. Dunque, l’individuo diventa più unitario, più integrato, più coerente con sé stesso, il che significa che diventa più compiutamente sé stesso, più caratteristicamente distinto come persona, unico. E in queste condizioni sa essere più facilmente spontaneo ed espressivo. Tutti i suoi poteri confluiscono, integrati e coordinati al massimo grado, in un’organizzazione assai più perfetta del solito, che gli consente di fare tutto con una disinvoltura e una facilità inconsuete. Inibizioni, dubbi, controllo, autocritica, diminuiscono avvicinandosi allo zero della scala e l’individuo diventa un organismo spontaneo, coordinato, efficiente, che funziona come un animale, senza fratture, senza dubbi e tentennamenti in un flusso irrompente di potere così sgombro da ostacoli da poter somigliare a un gioco, a un virtuosismo magistrale. Tutto diventa così facile da trasformarsi in un motivo di piacere e di divertimento al punto da consentire di osare cose che non sarebbero possibili in altri momenti.
Per dirla in sintesi e più semplicemente, l’individuo diventa più completo e unificato, più unico e peculiare, più vivo e spontaneo, più perfettamente espressivo e privo di ingiustificate inibizioni, più disinvolto e potente, più audace e coraggioso, più capace di trascendere l’ego e dimenticare sé stesso….”.
In una parola…più sano.
Noi ci sentiamo chiamati ad operare in direzione della comprensione e del rafforzamento di potenzialità di tal fatta attraverso un’azione estesa e pervasiva di rassicurazione e di stimolo alla conoscenza, all’uso dell’immaginazione creatrice, alla lettura degli eventi da prospettive inconsuete, all’esplorazione audace di problemi vecchi e nuovi, ad un approccio multi-livellare e multi-disciplinare alla conoscenza del reale, alla realizzazione di strategie via via più articolate e complesse di conoscenza e manipolazione dei dati dell’esperienza.
Carl Rogers ha molto ben individuato le condizioni e gli atteggiamenti propri per una efficace promozione della creatività:
“….La natura intrinseca delle condizioni interiori dello sviluppo della creatività dimostrano chiaramente che queste non possono essere promosse coercitivamente. Tuttavia, devono avere la possibilità di emergere. L’agricoltore non può intervenire direttamente sul seme costringendo il germoglio a svilupparsi e spuntare; può soltanto determinare le condizioni propizie che offriranno al seme la possibilità di sviluppare le potenzialità intrinseche. Lo stesso vale per la creatività. In qual modo possiamo stabilire le condizioni esterne che favoriscono e alimentano le condizioni interiori sopra descritte? La mia esperienza in campo psicoterapeutico mi induce a credere che noi offriamo la massima possibilità al manifestarsi nella creatività costruttiva allorché instauriamo condizioni di sicurezza e libertà psicologiche. Mi si consenta di esporle più particolareggiatamente, classificandole X e, rispettivamente, Y.
X. La sicurezza psicologica.
Essa può essere stabilita mediante tre processi associati:
1. Accettare l’individuo come un valore incondizionato.
L’insegnante, il genitore, lo psicoterapeuta o chiunque svolga una funzione d’assistenza promuove la creatività ogni qualvolta sente che l’individuo affidato alle sue cure rappresenta un valore di per sé nel suo sviluppo, al di là di quelle che possono essere le sue condizioni o il suo comportamento attuali. Probabilmente questo atteggiamento può essere genuino soltanto quando le potenzialità dell’individuo siano chiare al punto da consentire una fiducia incondizionata, quali che siano le condizioni del momento. L’individuo che percepisce questo atteggiamento avverte intorno a sé un’atmosfera di sicurezza. Apprende gradatamente di poter essere quello che è, senza bisogno di vergognarsi e di nascondersi dietro una facciata fittizia, dacché viene indotto a sentirsi considerato dotato di un valore personale pienamente riconosciuto, a prescindere da quello che fa. Quindi, avverte un minor bisogno di irrigidirsi. Riesce a scoprire cosa significa essere sé stessi, può tentare di realizzarsi in maniere nuove e spontanee. In altre parole, sta avanzando verso la creatività.
2. Stabilire un clima nel quale manchino le valutazioni esteriori.
Promuoviamo la creatività allorché rinunciamo a enunciare giudizi sull’altro individuo dal nostro luogo di valutazione. Il fatto di trovarsi in un’atmosfera nella quale non viene valutato, nella quale non viene misurato con qualche metro esteriore esercita un enorme potere svincolante sull’individuo. Il giudizio rappresenta sempre una minaccia, crea immancabilmente il bisogno di mettersi sulla difensiva, significa sempre che a qualche settore dell’esperienza deve essere vietato l’accesso alla coscienza. Se invece non vengono emessi giudizi basati su unità di misura esteriori, posso essere più aperto alla mia esperienza, mi è lecito riconoscere e dare ad esse il giusto valore, le mie predilezioni e le mie avversioni, la natura dei materiali, e le reazioni che io vi oppongo, con maggiore chiarezza e con maggiore sensibilità. Posso incominciare a riconoscere la mia fonte interiore di giudizio. Quindi sto progredendo verso la creatività. Ovviamente, ciò non significa che l’operatore debba rinunciare alla facoltà di avere reazioni e di esprimere le proprie convinzioni: dire “la tua tela, la tua poesia, la tua canzone non mi piacciono” non è la stessa cosa che dire: “quello che stai facendo è brutto o è bello, e questa qualità ti viene assegnata da una fonte esterna”…..differenza sottile, ma molto netta: la prima affermazione consente all’individuo di considerare valida la propria fonte di giudizio e implica la possibilità della mia incapacità di apprezzare una cosa che in realtà è validissima, mentre la seconda affermazione, esprima lode o condanna, tende a mettere la persona alla mercé di forze esterne. Le dice semplicemente che non ha diritto di chiedere a sé stesso se il prodotto in causa è un’espressione valida del suo io, le dice che deve preoccuparsi di quel che pensano gli altri. Quindi la distoglie da sé stessa e dal processo creativo.
3. Comprendere partecipando.
Questa è la forma di comprensione che offre la massima sicurezza psicologica, allorché si aggiunge alle altre due. Se diciamo all’altro “ti accetto” senza saper niente di lui, si tratta di un’accettazione vuota e l’altro comprende che la cosa sarebbe diversa se arrivassimo a conoscerlo veramente. Ma se lo comprendiamo partecipando, se cioè lo vediamo e comprendiamo i suoi sentimenti e le sue azioni dal suo punto di vista, se entriamo nel suo mondo privato e lo vediamo così come si presenta e ciò nonostante lo accettiamo, allora gli offriamo la vera sicurezza. In questo clima l’altro può permettere al proprio io autentico di emergere e di esprimersi in nuove e svariate forme secondo il rapporto che il suo io stabilisce con il mondo. Questa è una maniera fondamentale per favorire la creatività. Questa forma di liberalità non ha nulla a che vedere con la mollezza e non va confusa con l’indulgenza o con l’incoraggiamento a tutto osare senza criterio. Significa permettere all’individuo di essere libero, il che sottintende anche che è tenuto ad un atteggiamento responsabile. L’individuo è libero di astenersi per timore di tentare un’impresa nuova quanto lo è di gettarvisi dentro con entusiasmo; è libero di sopportare le conseguenze dei suoi errori come è libero di giungere alle sue realizzazioni. Lo sviluppo di una fonte di sicuro giudizio interiore è promosso da questo tipo di libertà responsabile di essere sé stessi e di conseguenza tende a instaurare le condizioni interiori della creatività costruttiva….”.
Insieme, accanto e a sostegno di questa attitudine ci soccorrono una serie di pratiche sapienziali dotate di alta efficacia maieutica che l’umanità ha sedimentato e perfezionato nei millenni.
Senza ulteriormente addentrarci nel campo della speculazione teorica, vorrei a questo punto offrirvi l’occasione di passare alla sperimentazione diretta e di saggiare l’efficacia di alcuni esercizi mutuati in parte dalle tradizioni gimnosofiche orientali, in parte dalla ricerca maturata in ambito teatrale sullo sviluppo di abilità di concentrazione e rilassamento, utile supporto per lo sviluppo di abilità creative in ambito espressivo.
A noi, dunque; e a quel che insieme possiamo sperimentare.
Dicevo che ho avuto modo di sperimentare con puntuale regolarità la forza di crescita ed integrazione interiore presenti in nuce nell'immaginazione e nell'azione creativa.
L'ho sperimentata in me stesso innanzi tutto: nelle dinamiche dei miei pensieri, nel vario muoversi e comporsi del tono dei miei umori e delle mie emozioni, nel trasferirsi in atto, rarefarsi, e risolversi sul piano di più evoluti equilibri, di acervi d'ansia e nodi problemici dolorosi e al primo apparire inestricabili, nel trasmutarsi dei profili del reale e delle sue fisionomie per effetto del libero moltiplicarsi degli strumenti di visione ed interpretazione offerti dal gioco dell'invenzione e della ricomposizione creatrice.
E' accaduto a me con il teatro e la scrittura.
Così con la pittura.
E' accaduto ai miei allievi.
Sistematicamente.
Sempre le ho viste, le persone di cui mi son preso cura, dai raffinatissimi allievi attori della Scuola Superiore d'Arti Sceniche a Firenze ai motivatissimi cantanti in conservatorio musicale, agli insegnanti nei corsi di aggiornamento e perfezionamento didattico, ai giovani drop-out dei corsi dell'obbligo formativo, resi ottusi dalla perversione delle dinamiche di normalizzazione, ai disperati e disperanti ragazzi a rischio penale, ai bambini di scuole elementari di quartieri marginali, così chiusi nelle gabbie di una sub-cultura che li esclude in partenza dal pieno diritto di cittadinanza, ai giovani delle scuole dei più diversi ordini, alle persone di ogni età, che in vario modo e a vario titolo hanno seguito i miei stages... sempre le ho viste, dicevo, queste persone, crescere in gioia, forza, bellezza ed armonia.
Probabilmente in ragione dell'azione di profonda riconnessione alle istruzioni di radice dell'essere umano, a quella emozione d'audacia e di scoperta nella sicurezza che è il tipico portato dei risvegli agiti e incoraggiati da ogni azione animativa e creativa maturata in climi che incoraggiano la libera espressione di sé e tengono ad arte fuori dalla porta giudizio e valutazione esteriore normante.
Ma qui rischio interpretazioni complesse e tendenziose.
Voglio, dicevo, per il momento, e per questa prima comunicazione, parlarvi nella lingua dell'arte e dell'avventura.
E delle ragioni per le quali ritengo che nello stratificarsi millenario di una tradizione di addestramento al controllo dei flussi emozionali e ad un uso del corpo evolutissimo quale quello che l'attore è chiamato a fare, si è sedimentato un sapere, in termini di tecniche di rilassamento, concentrazione e rigenerazione energetica, di straordinaria potenza ed efficacia.
E di come processi di fabulazione ben guidati, la libera invenzione drammaturgica, la scrittura collettiva di testi, il trattamento di materiali plastico-figurativi, la messa in scena di semplici pièces teatrali accompagnata ad uno specifico training attoriale posseggano una straordinaria forza di liberazione di energie personali e collettive capaci di cambiare in meglio la vita; o, quanto meno, il che è lo stesso dal punto di vista degli effetti pragmatici, i livelli di percezione di alcuni nodi fondamentali dell'esistenza.
Ma non voglio parlarvene in astratto; l’ho detto: desidero che abbiate cognizione pratica del nostro metodo di lavoro.
E, soprattutto, desidero mettervi a contatto diretto con le prassi creative di cui vi parlo così come sono venute maturando nella ricerca animativa degli ultimi trent’anni e nel metodo di lavoro che son venuto sin qui elaborando: farvi toccare con mano direttamente, e in prima persona, i primi elementi di un’esperienza laboratoriale.
Quando sarà utile e ritenuto opportuno, ci fermeremo ad analizzare e, se è il caso, a razionalizzare e sistemare sul piano teorico il senso e il valore di quanto veniamo facendo.
Cominceremo da una breve serie di esercizi di respirazione dinamica.
La respirazione profonda è uno strumento di contatto con il mondo emozionale.
Chi tra voi ha avuto la ventura di concepire e portare avanti una gravidanza sarà probabilmente stato istruito all’uso della respirazione diaframmatica come strumento di controllo del dolore ed avrà avuto modo di sperimentarne la straordinaria efficacia pratica nel controllo dell’ansia e delle emozioni ad essa associate.
Un mondo, quello emozionale, sempre più penalizzato ed escluso dal nostro orizzonte vitale. Al punto da essere percepito come luogo del rischio dell’eccesso, minaccia, luogo della possibile perdita, della dissoluzione dell’identità e dell'integrità della ragione.
Niente di più sbagliato. Si tratta dell’alveo più ricco e fecondo dell’essere umano. Del crogiolo in cui si forma e modula l’energia vitale.
Gli esercizi di respirazione dinamica insegnano con approccio delicato e naturale a convivere in armonia con il mondo delle emozioni, a trovare nell’intimo un luogo di pace e rigenerazione altrimenti inesplorato, a trarne le spinte ad una comprensione più profonda e matura del nostro essere al mondo, a connetterci con la radice che ci unisce a tutto il vivente e a godere appieno di un sentimento sempre più vivo e profondo di unità ed integrità.
Gentilmente, delicatamente, dolcemente, l’esercizio ci accompagna nelle profondità dell’anima come nelle altezze dello spirito, verso un silenzio che è il centro originario di ogni suono, verso quel non luogo che è il luogo d’origine d’ogni forma e d’ogni sostanza, verso una chiara, limpida, estesa percezione di quel che è qui e l’ora.
Vedrete che sarà un’esperienza molto appagante.
Procederemo poi con una pratica meditativa di lunga vita mutuata dalla grande cultura gimnosofica orientale, “baduan jin, gli otto pezzi di broccato”, una pratica che nel nome rivela il significato e il valore che i maestri che l’hanno elaborata e trasmessa fino a noi attribuivano al suo apprendimento e al suo impiego (voi sapete che il broccato è un preziosissimo tessuto di seta e fili d’oro) e che, insieme ad altre tecniche, serve, nel nostro approccio, a creare le condizioni di rilassata concentrazione psico-fisica che favoriscono il fluire armonico dell’immaginazione creatrice.
Andremo poi avanti con una breve analisi della struttura del racconto di tradizione popolare, dei valori antropologici e psicologici della fiaba e proveremo a creare una semplice storia di magia e d’avventura collettiva utilizzando i tarocchi viscontei come strumento di invenzione fabulatoria.
Voi sapete cosa sono le tavole di Rorschach, vero? E sapete cosa sono le tavole di appercezione tematica.
Bene: useremo i tarocchi viscontei come strumenti di fabulazione proiettiva.
Sarà interessante vedere come la complessa polisemicità delle figure, unita ad una distribuzione del tutto randomica delle carte e ad un semplice meccanismo di provocazione fabulatoria faccia emergere in chiaro temi e vissuti profondi.
Apprenderemo a questo punto come si costituisce la trama di un racconto di magia e d’avventura e come le metafore che attraversano le fiabe siano nutrite di un intimo sapere in grado di stanare e lumeggiare i profondi nodi problemici dell’esistere e di suggerire percorsi di crescita ed armonizzazione vitale di grande efficacia sulla psiche individuale e collettiva.
E capiremo come costruire, utilizzando semplici artifici proiettivi, storie in cui siano drammatizzate, poste cioè, in azione (drama in greco antico significa appunto azione) e rappresentate in forma fantastica le scene di un disagio in modo da potere su di esse agire in termini terapeutici senza traumi e rotture, con approccio sensibile e delicato, per allusioni ed accostamenti metonimici, per progressivi spostamenti di significato e soluzioni indirette, in grado di scavalcare le resistenze al cambiamento e di parlare all’intera persona il linguaggio di una possibile, felice transizione evolutiva.
Proveremo poi, se il tempo lo consente, a dare forma e struttura ad elementari dialoghi tra i personaggi creati.
E qui avremo modo di scoprire come il trattamento retorico e letterario-drammatico di materiali fabulatori può essere arricchito di ulteriori metafore di guarigione specificamente e ad arte create e come l’azione stessa del far emergere in luce, e operare per la messa in forma dei materiali emersi, sia in sé un atto di altissimo valore “terapeutico” (vedrete che uso sempre la parola con qualche imbarazzo: preferisco “armonizzante e integrante ad un livello di coscienza superiore e più evoluto”). Il lavoro per il perfezionamento della forma, poi, è straordinario in tal senso: implica un impegno in direzione della bellezza, dell’euritmica, dell’eufonica. La forma, la bellezza in quanto tali, consolano, placano, illuminano, addolciscono, rasserenano, danno gioia, restituiscono potenza e saggezza, aiutano a trascendere l’ego.
Ma basta con la teoria: passiamo ora direttamente all’azione.
Insieme, dunque, ora faremo una breve esperienza di un training di rilassamento e rigenerazione energetica e avvieremo un percorso di analisi e creazione di una storia fantastica da mettere, successivamente, in scena.
Insieme. In spirito di co-operazione. In semplicità e senza giudizi di sorta.
Siamo tra amici.
Dunque, vi prego di alzarvi e di seguirmi…..: all’opera!
Erminio Biandolino
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